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La produzione di Elisa Abela parte dalla raccolta di immagini, vecchie foto recuperate e ritagli cartacei di varia provenienza che, rielaborati prima sul piano mnemonico, riemergono per essere ri-assemblati, assecondando una pratica meccanica che ha origini compulsive e visionarie.
Questi frammenti di memoria visiva vengono impaginati all’interno di vecchi libri (scelti sulla base dei loro contenuti), di scatole appositamente realizzate o su supporti di vario genere (es. carta fotografica, alluminio, plexiglass, cartoncino) piegati, di volta in volta, alle diverse esigenze comunicative e semantiche.
Anche i materiali utilizzati per contestualizzare questi frammenti (nastro isolante
di tipologie e colori diversi e pennarelli) offrono qualche indizio relativo al linguaggio e ai toni del prodotto complessivo, che traduce la memoria in una piattaforma sperimentale dalla quale far partire nuove intuizioni.
L’esito di questa manipolazione istintuale e incontrollabile si concretizza, per paradosso, in oggetti, collage e libri coerentemente strutturati, che diventano veicolo di narrazioni ambigue e sottilmente tendenziose, volte a spingere la percezione al limite tra realtà e verosimiglianza.